SOCIOLOGIA GENERALE E POLITICA (B) 2019/2020
SOCIOLOGIA GENERALE E POLITICA
Il corso si compone di due parti. Una di sociologia generale e l’altra di sociologia politica. Questa fusione, abbastanza inconsueta, derivata all'inizio da esigenze organizzative temporanee, è stata nel tempo confermata per la necessità imprescindibile di fornire agli studenti i “fondamentali” che attengono alla tradizione del pensiero e della metodologia sociologiche, mantenendo al tempo stesso una proposta didattica che si è rivelata originale e interessante, con un’unica tessitura concettuale e argomentativa, quella che peraltro prediligo come studioso di scienze sociali.
In questo senso, si è individuata come chiave unitaria, come fil rouge di entrambe le trattazioni il concetto di potere in quanto paradigma delle stesse relazioni sociali, e quindi delle relazioni politiche che vi sono correlate come specie a genere, nella forma del potere politico.
L’altro punto di connessione importante è che la sociologia moderna nasce per un impulso che oggi chiameremmo di “antipolitica”. E cioè dalla delusione provocata nei filosofi e negli intellettuali, che nel XIX secolo si dedicavano a interpretare le “cose” della società, dalle promesse di cambiamento inadempiute o fallite della Rivoluzione francese. Di qui la rivalutazione anche scientifica e culturale della società e dell’economia che – come affermava Marx – “costituiscono il teatro vero della storia”.
Nata dunque sull’onda di un sentimento, per meglio dire di un risentimento contro la politica, la sociologia finisce presto per ricollocare la politica fra i suoi principali fuochi d’analisi, promuovendo la nascita di una disciplina autonoma di grande successo, la scienza politica. Non è un caso che il mainstream della scienza politica contemporanea sia costituito dalla Scuola elitista italiana, non a caso composta da sociologi – come Mosca, Pareto, Michels (e i loro epigoni in Europa e soprattutto in Usa) – che si sono occupati di potere politico ed elite sociali.
Tutto ciò premesso, abbiamo pensato a un programma articolato in due (o tre) parti.
1. Una prima parte, introduttiva, in cui si cercherà di ricostruire l’evoluzione storica delle principali categorie d’analisi della sociologia, rielaborate in termini di coppie dicotomiche. Ad esempio: individualismo-collettivismo; azione-struttura; effetti teleologici (funzioni)-effetti di interdipendenza dell’azione sociale (intenzionali e non); potere-autorità; cultura-ideologia; comunità-società; classe-gruppo; società (civile)-(società) politica.
2. A partire da quest’ultima contrapposizione, che non è un’invenzione delle scienze sociali ma piuttosto (senza le parentesi) un’eredità della filosofia settecentesca, si affronta l’altra parte del corso che ha come oggetto specifico e specialistico la sociologia politica. In questa parte il tema prescelto è quello del rapporto fra potere politico e stratificazione sociale, quindi il problema della formazione e del ricambio delle élite nelle società complesse.
3. Più specificamente: come questi problemi intersecano il nodo delle contraddizioni fra democrazia e merito ovvero, più in generale, fra democrazia e i postulati – liberali – della società “aperta”.
Il corso si compone di due parti. Una di sociologia generale e l’altra di sociologia politica. Questa fusione, abbastanza inconsueta, derivata all'inizio da esigenze organizzative temporanee, è stata nel tempo confermata per la necessità imprescindibile di fornire agli studenti i “fondamentali” che attengono alla tradizione del pensiero e della metodologia sociologiche, mantenendo al tempo stesso una proposta didattica che si è rivelata originale e interessante, con un’unica tessitura concettuale e argomentativa, quella che peraltro prediligo come studioso di scienze sociali.
In questo senso, si è individuata come chiave unitaria, come fil rouge di entrambe le trattazioni il concetto di potere in quanto paradigma delle stesse relazioni sociali, e quindi delle relazioni politiche che vi sono correlate come specie a genere, nella forma del potere politico.
L’altro punto di connessione importante è che la sociologia moderna nasce per un impulso che oggi chiameremmo di “antipolitica”. E cioè dalla delusione provocata nei filosofi e negli intellettuali, che nel XIX secolo si dedicavano a interpretare le “cose” della società, dalle promesse di cambiamento inadempiute o fallite della Rivoluzione francese. Di qui la rivalutazione anche scientifica e culturale della società e dell’economia che – come affermava Marx – “costituiscono il teatro vero della storia”.
Nata dunque sull’onda di un sentimento, per meglio dire di un risentimento contro la politica, la sociologia finisce presto per ricollocare la politica fra i suoi principali fuochi d’analisi, promuovendo la nascita di una disciplina autonoma di grande successo, la scienza politica. Non è un caso che il mainstream della scienza politica contemporanea sia costituito dalla Scuola elitista italiana, non a caso composta da sociologi – come Mosca, Pareto, Michels (e i loro epigoni in Europa e soprattutto in Usa) – che si sono occupati di potere politico ed elite sociali.
Tutto ciò premesso, abbiamo pensato a un programma articolato in due (o tre) parti.
1. Una prima parte, introduttiva, in cui si cercherà di ricostruire l’evoluzione storica delle principali categorie d’analisi della sociologia, rielaborate in termini di coppie dicotomiche. Ad esempio: individualismo-collettivismo; azione-struttura; effetti teleologici (funzioni)-effetti di interdipendenza dell’azione sociale (intenzionali e non); potere-autorità; cultura-ideologia; comunità-società; classe-gruppo; società (civile)-(società) politica.
2. A partire da quest’ultima contrapposizione, che non è un’invenzione delle scienze sociali ma piuttosto (senza le parentesi) un’eredità della filosofia settecentesca, si affronta l’altra parte del corso che ha come oggetto specifico e specialistico la sociologia politica. In questa parte il tema prescelto è quello del rapporto fra potere politico e stratificazione sociale, quindi il problema della formazione e del ricambio delle élite nelle società complesse.
3. Più specificamente: come questi problemi intersecano il nodo delle contraddizioni fra democrazia e merito ovvero, più in generale, fra democrazia e i postulati – liberali – della società “aperta”.